L´editoriale del direttore Pasquale Chessa, già pubblicato lunedì sulle pagine de La Nuova Sardegna
ALGHERO - Per spiegare lo “stato di grazia” di Pierluigi Bersani dopo il successo delle primarie del Pd, sarà utile sapere che si laureò in filosofia con Sant’Agostino. Studi che non gli impedirono di fare tesoro di un altro testo, dal titolo in cui tutto è già detto, che sembra inscritto nel suo destino: Ceti medi ed Emilia rossa di Palmiro Togliatti. Perché altrimenti non sarebbero bastati tutti i santi padri della Chiesa per inventare quella formula che si trascina dietro da quando era ministro dell’industria del governo Prodi: «Le liberalizzazioni sono di sinistra». Per lui il profumo di sinistra non è mai stato una suggestione ideologica, un sentimento e nemmeno una narrazione, ma un sapore concreto con un forte sentore di coppa piacentina e un preciso retrogusto di Sorbara rosso. Che fa tornare alla mente però anche quel comunismo domestico che sa tanto di antico, e con l’aria che tira, francamente impresentabile.
Perciò ci chiediamo come Bersani sia riuscito a oscurare la camicia bianca di Matteo Renzi, arrivando di fronte alle telecamere con una giacca blu che riluceva di marrone sotto le luci dello studio della Rai. Non sarebbe potuto mai succedere a Berlusconi, campione conclamato della teledemocrazia all’italiana. Già, Berlusconi! È il vero sconfitto delle primarie. Adesso sarà un bel rompicapo per gli scienziati della politica spiegare il paradosso Bersani, e farci capire perchè l’abbiamo votato anche se infastiditi dal suo eloquio smozzicato, sebbene irritati dalle sue improponibili metafore, seppure sconfortati dal suo buon senso comune. Diciamoci la verità: Bersani in televisione è stato un vero disastro. Eppure… Come pensano gli osservatori più avvertiti, Berlusconi sembra già pronto a raccogliere la sfida dei democratici, e sta facendo solo ammuina per tornare sulla scena in primo piano, scompaginando e poi rifondando prima la destra per affrontare dopo il vincitore di oggi.
E allora, se davvero Berlusconi, brandendo l’anticomunismo ancora una volta, dovesse andare all’assalto di Bersani, potremo assistere dal vero alla rappresentazione di un conflitto che finora abbiamo potuto osservare in vitro nei libri di storia politica: «leadership costitutiva» contro «leadership costituzionale». Per capirci: costitutivo è il leader allo stesso tempo fondatore e ispiratore del suo partito, in pratica il suo proprietario non solo ideale ma anche materiale. L’aggettivo funzionale si applica invece al politico eletto a capo di un partito in un momento dato e per un periodo determinato. Per dire: Togliatti e De Gasperi furono leader funzionali e infatti i loro partiti gli sopravvissero senza perdere un grammo della propria identità. Costitutivo in purezza fu invece Mussolini, e infatti il fascismo si disciolse come neve al sole dell’alba della notte del 25 luglio.
Quanto ci manca la sua capacità di interpretare con intelligente leggerezza le pesantezze di questi tempi bui: è stato il saggista Edmondo Berselli, già prima del comico Crozza, a irridere proprio Bersani per la foga emiliana con cui si ostinava ancora a «straparlare» di «popolo della sinistra». Vero! Ma quel popolo non è più lo stesso di cinque anni fa: in queste due settimane ha scoperto che l’antipolitica è il frutto avvelenato della malapolitica, ha imparato che le primarie non rappresentano soltanto una procedura elettorale ma contengono un principio attivo capace di contrastare ogni populismo e di restituire la dignità perduta al primato della politica. E siccome si andrà a votare col famigerato porcellum, sarà questo popolo, con le sue primarie, a pretendere di scegliere i candidati al parlamento uno per uno. Una nuova parola d’ordine sta già mobilitando la rete, e come slogan non è affatto male: «primarie per tutti».
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