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S.A. 29 gennaio 2023
La Giornata mondiale dei malati di lebbra
Il 29 gennaio la ricorrenza per mantenere viva l’attenzione su una patologia che in alcune parti del mondo è un problema sanitario. In Italia non esiste da secoli ma si registrano casi di importazione


SASSARI - È considerata una malattia ormai dimenticata ma in alcuni Paesi, come la Cina, la lebbra è diventata una malattia endemica, contro la quale si combatte ogni giorno. Una lotta che in tutto il mondo vede medici e volontari impegnati ogni giorno nella cura di pazienti affetti da una malattia ora non più incurabile. A ricordare questa situazione, che affligge milioni di persone, sarà la 70esima giornata mondiale dei malati di lebbra che si celebra il 29 gennaio; una ricorrenza voluta e promossa da Raoul Follereau nel 1954 e riconosciuta ufficialmente dall'Onu. «La lebbra è una patologia infettiva di tipo cronico – spiega la professoressa Maria Antonietta Montesu della Clinica dermatologica dell'Aou di Sassari – ed è causata dal Mycobacterium leprae, un batterio che ha un basso potere patogeno. La trasmissione avviene in caso di stretto e prolungato contatto con soggetti infetti. L'incubazione è particolarmente lunga, può superare i dieci anni, con un tempo medio di circa cinque anni».

La lebbra, conosciuta anche come morbo di Hansen, nel mondo è ancora un problema sanitario importante, che si concentra nei Paesi tropicali e subtropicali, in particolare India, America Latina e Africa ma anche alcune regioni della Cina. Secondo i dati dell'Associazione italiana amici di Raoul Follereau (Aifo), che è partner dell'Oms, nel periodo Covid 2020-2021 si è registrato un incremento della malattia del 10 per cento. In Italia non esiste da alcuni secoli mentre sono stati registrati casi importati da turisti che hanno soggiornato all'estero o da stranieri arrivati nel nostro paese. L'Oms ha inserito la lebbra nell'elenco delle malattie tropicali neglette. «L'agente eziologico è un micobatterio a lentissima crescita – spiega il direttore della clinica di Malattie infettive e tropicali, professor Sergio Babudieri – e sono interessati dall’infezione principalmente cute e nervi periferici, il cui coinvolgimento provoca intorpidimento e debolezza nelle zone da loro controllate. Si sviluppa una neuropatia periferica anche grave che, nella cosiddetta lebbra tubercoloide, coinvolge numerose zone con loro intorpidimento e debolezza di alcuni gruppi muscolari».

La trasmissione avviene in caso di stretto e prolungato contatto con soggetti infetti. «È determinante la diagnosi precoce – aggiunge Maria Antonietta Montesu –, prima che sopraggiungano le deformità estetiche e i danni ai nervi, che sono altrimenti irreversibili. E nel processo diagnostico il dermatologo svolge un ruolo preminente, perché individua le lesioni cutanee che rappresentano le manifestazioni iniziali caratteristiche». Si tratta quindi di una patologia facilmente curabile con una specifica terapia basata sull'associazione di antibiotici da assumere nel lungo periodo o, talvolta, come terapia di mantenimento per tutta la vita. «In questo modo – afferma Sergio Babudieri – si può arrestare la progressione della lebbra, ma non si raggiunge la guarigione del danno ai nervi o delle deformità. Per questi motivi, diagnosi e trattamenti precoci risultano fondamentali per il mantenimento dell'integrità fisica dei pazienti».

«Ecco allora che la lebbra non è molto contagiosa e, pertanto, il rischio di diffusione è basso; inoltre, una volta iniziato il trattamento, i micobatteri della lebbra non possono più essere trasmessi. La migliore prevenzione è comunque quella di evitare il contatto con i fluidi corporei e con le manifestazioni cutanee delle persone infette», conclude Babudieri. In Italia, infine, esistono quattro centri di riferimento nazionale per la conferma diagnostica e per il trattamento della malattia: Genova, Gioia del Colle (Bari), Messina e Cagliari. «Quest'ultimo – ricorda infine la professoressa Montesu – si trova nella Dermatologia del Santissima Trinità e attualmente gestisce in day hospital 5 hanseniani: 3 autoctoni e 2 extracomunitari, tutti di sesso maschile».
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