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Monica Caggiari 23 febbraio 2005
Parco di Porto Conte, sei anni di potenzialità perse
Sono passati sei anni dalla sua istituzione, avvenuta con una legge regionale il 26 febbraio del 1999, ma il Parco Naturale Regionale di Porto Conte rimane ancora un “oggetto misterioso” per la maggioranza dei sardi


ALGHERO – «Manca un elaborato modello di gestione. Ancora ci si ostina a non voler usufruire delle numerose potenzialità legate ad una gestione corretta di Porto Conte». A delineare la questione è Roberto Salmon, referente per l’Associazione Italia Nostra, che qualche anno fa propose un modello di gestione del Parco di Porto Conte, ricevendo l’immediato sostegno del WWF e del Condacons e il plauso di numerosi studiosi del settore.
Il primo caposaldo della proposta, ad oggi ancora inascoltata, riguarda la particolare attenzione per la valorizzazione intelligente e razionale, che presuppone un modello di sviluppo economico dinamico e multisettoriale. La corretta gestione del Parco passerebbe quindi attraverso l’utilizzo delle sinergie in esso presenti, in un’ottica di collaborazione e coinvolgimento di chi all’interno di Porto Conte ci vive e lavora.
La gestione del Parco è affidata attualmente all’Azienda speciale di Porto Conte, che, secondo la legge istitutiva, corrisponde al Consiglio comunale in carica, il quale, secondo Salmon, non ha ancora dato il via ad un vero e proprio piano di gestione dell’area a nord di Alghero. Questo significa che vi è un parco “su carta”, gestito a livello burocratico, ma che ancora non ha previsto la necessaria normativa per un utilizzo corretto del territorio e per l’ordinamento delle diverse attività sociali, economiche, scientifiche e turistiche. Secondo Salmon è quindi necessario, innanzitutto, procedere alla definizione di un piano di gestione, direttamente connesso all’agognato Piano Urbanistico Comunale, soprattutto per quel legame intrinseco tra parco, città, zone appoderate, riserva marina ed eventuali zone d’ampliamento (poiché l’area protetta non include Porto Ferro, Baratz, Anghelu Ruju e altre zone, che per continuità e valenza ambientale dovrebbero essere inglobate, secondo Salmon e molti altri studiosi, nel Parco Naturale).
Il tutto sempre con un occhio di riguardo per la prerogativa principale del Parco, che non è la tutela fine a se stessa, bensì la difesa di un bene comune, di fruizione pubblica, da preservare per la valenza ambientale, storica, culturale, ma anche in favore dello sviluppo economico e sociale della collettività.
Salmon definisce nella sua proposta anche gli strumenti di pianificazione territoriale (Piano del Parco, piano pluriennale economico e sociale, P.U.C.), che «dovranno essere utilizzati con riferimento ad un più ampio contesto, come le aree di “preparco” e i territori limitrofi (Villanova Monteleone, Montresta e Bosa)». Anche in questo caso Salmon aggiunge un dato fondamentale al suo modello di gestione: un’organizzazione che «coinvolga il territorio esterno in un disegno complessivo, ma sempre nel rispetto della “concertazione obbligatoria”, che introduce un’impostazione democratica e partecipativa, basata sulla cooperazione tra gli abitanti del parco e le istituzioni».
Sulla stessa scia si pronuncia anche il docente di Microbiologia della Facoltà di Agraria ed esperto di produzioni alimentari tradizionali, prof. G. Antonio Farris. Lo scienziato, uno di quei profondi conoscitori di Parchi e Aree protette, è anche l’autore della prefazione alla proposta di Roberto Salmon. L’accademico della facoltà di Agraria era stato tra i promotori, alcuni anni fa, durante la sua presidenza del Centro Ricerche di Biologia molecolare di Tramariglio, dell’iniziativa “Il Parco produce”. Per alcuni anni si era così riusciti a far incontrare gli agricoltori e allevatori, residenti all’interno dell’area parco, con i cittadini e visitatori. Nasceva così l’incontro tra le risorse derivate dall’ambiente e dal lavoro dei produttori locali e l’esigenza di far conoscere, utilizzandole, le potenzialità dell’area protetta. E’ proprio questo l’elemento chiave di questo modello di gestione, che secondo prof. Farris ha il pregio di aver «considerato fondamentale la valorizzazione di tutte le attività, esistenti nell’area parco: agricoltura, artigianato, beni archeologici e storici, […] un utile strumento di lavoro per dare (finalmente!) al Parco Naturale di Porto Conte un ruolo primario nello sviluppo integrato del territorio algherese, e non solo».
Attualmente non vi sono iniziative del genere e la questione del Parco Naturale, sollevata anche durante la conferenza–dibattito sulla Legge Salvacoste, sta diventando, dopo sei anni d’attese, sempre più pressante, soprattutto per la mancata valorizzazione delle sue enormi, svariate ed evidenti potenzialità.
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