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M.V. 5 giugno 2007
La "Comissió per la normalització de l’Alguerès" fa discutere


ALGHERO - Sebbene di recente costituzione, la Commissione per la normalizzazione dell’algherese si presta già ad una severa critica. Oggetto della quale sono i suoi presupposti ideologici. La “comissió” sembra infatti nascere sulla spinta dell’accanimento contro qualcosa o qualcuno, piuttosto che dalla legittima e condivisibile volontà di tutelare l’algherese. Dei tre punti programmatici elaborati dai commissari, infatti, due hanno come solo obiettivo quello di rendere l’algherese “unica” minoranza da tutelare all’interno dei termini amministrativi di Alghero. «Sulla scorta di un minimo di conoscenza della storia (linguistica) di Alghero – sottolinea Enrico Chessa - è facile sostenere l’inutilità di tale obiettivo, posto che l’algherese non è minacciato da altre minoranze, quanto dalla forza e dalla prepotenza dell’italiano». «Va da sé che il desiderio smisurato di impedire ad altri (fondamentalmente, alla minoranza di lingua sarda) di dotarsi di strumenti di tutela è dettato da una preoccupazione che rasenta il razzismo più che da una minaccia reale». Enrico Chessa argomenta le sue considerazioni spiegando in maniera puntigliosa i riferimenti normativi alla base delle leggi di tutela che la commissione richiama a sostegno dell’esclusività dell’algherese, dimostrando l’infondatezza delle argomentazioni portate dalla neonata associazione. «Affermare – così come affermano i commissari – che l’algherese debba essere l’unica minoranza da tutelare, perché cosí obbligano le leggi sopraccitate, è falso. Né la legge della Repubblica italiana – 482/99 – né quella della Regione Sardegna – 26/97 – impongono restrizioni linguistico-territoriali. Sebbene la 482 preveda delimitazioni territoriali in cui la legge diventa attuativa, queste si stabiliscono per definire i confini amministrativi in cui una determinata varietà verrà tutelata. Cioè, non per impedire il riconoscimento di altre minoranze presenti nel territorio. Se così non fosse, ci troveremmo di fronte ad una legge liberticida. Il riferimento giuridico, al quale erroneamente si rifanno i commissari per tentare di giustificare l’ingiustificabile, non può imporre simili restrizioni, posto che una società liberaldemocratica non ammette limitazioni ingiustificate. Il liberalismo moderno ha come fine ultimo quello di garantire il benessere di tutti i cittadini, sulla base del principio dell’equità: tutti gli individui, cioè, sono importanti in egual misura. Ne consegue che non è ammissibile tutelare i diritti di alcuni se si ignorano quelli di altri. Sostanzialmente - conclude Chessa - ciò vuol dire che tutti i cittadini devono poter disporre della piena libertà di poter scegliere la propria traiettoria di vita. Se tale libertà venisse concessa ad alcuni ma non ad altri, questi ultimi riceverebbero un trattamento iniquo e, quindi, ingiusto».
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